Il committente straniero non paga? Ecco il decreto ingiuntivo europeo
Il ritardo nei pagamenti delle fatture con cui il mondo dei trasporti deve fare i conti, oggi più che mai, sta mettendo a rischio di sopravvivenza anche chi lavora con l’estero.
Ma in Europa esiste un modo più semplice e veloce per chiedere un’ingiunzione contro il debitore straniero?
“Il vaglio del giudice dell’IPE non ha la stessa estensione e lo stesso oggetto di quello del giudice del ricorso per decreto ingiuntivo italiano, in quanto la sua cognizione, a differenza di quella del giudice italiano, non si estende all’apprezzamento delle prove indicate dal creditore”
Sì, esiste da diversi anni, malgrado sia da poco conosciuto, l’istituto del decreto ingiuntivo europeo e serve proprio per consentire al mondo imprenditoriale di recuperare liquidità in sofferenza.
La disciplina di questo strumento – definito “ingiunzione a pagamento europea” (IPE) – è contenuta nel Regolamento CE 12/12/2006 n. 1896/2006, in cui si indica come ambito di applicazione quello relativo alle controversie cd. Trasfrontaliere, definite all’art. 1 come quelle in cui”almeno una della parti ha domicilio o residenza abituale in uno Stato membro diverso da quello del giudice adito”.
La Corte di giustizia dell’Unione Europea, con una recentissima decisione emessa in tempi Covid 19 (sentenza 07/05/2020, n. 267/19), ha avuto occasione di confermare l’accessibilità a tale strumento di origine comunitaria anche in funzione della fase esecutiva, disciplinata dal regolamento CE n. 1215/2012.
A questo punto, bisogna chiarire quali siano le differenze tra un decreto ingiuntivo italiano e quello europeo e, soprattutto, quale sia vantaggioso azionare, in un periodo critico come l’attuale, in cui gli operatori hanno bisogno di riscontri sicuri.
La risposta è stata data nel 2019 dalla stessa Corte di Cassazione che si è pronunciata addirittura a Sezione Unite per fornire un’interpretazione univoca sugli effetti del decreto ingiuntivo europeo, specie in caso di opposizione (sentenze nn. 2840 e 2841 del 2019).
I giudici di legittimità hanno statuito che il modo in cui è regolato il procedimento di emissione dell’IPE è del tutto disomogeneo da quello del procedimento per decreto ingiuntivo di diritto italiano; tale diversità è visibile fin dalla fase introduttiva della procedura dell’IPE, in quanto per l’ordinamento comunitario l’istante deve solo fornire una “descrizione” del diritto di credito, senza dovere produrre alcuna prova scritta (a differenza di quanto accade nell’ordinamento italiano per il procedimento monitorio ex art. 633 c. p. c. e ss). In conseguenza di tale disomogeneità, il vaglio del giudice dell’IPE non ha la stessa estensione e lo stesso oggetto di quello del giudice del ricorso per decreto ingiuntivo italiano, in quanto la sua cognizione, a differenza di quella del giudice italiano, non si estende all’apprezzamento delle prove indicate dal creditore. Con la notifica del decreto ingiuntivo europeo, il debitore è informato del fatto che l’ingiunzione è stata emessa soltanto in base alle informazione fornite dal ricorrente e non verificate dal giudice.
Ne consegue che la situazione di chi abbia ottenuto l’IPE è sostanzialmente diversa da quella del creditore che abbia ottenuto il decreto ingiuntivo di diritto italiano; ciò non può che ripercuotersi nella fase dell’opposizione, in quanto la medesima semplicità assertiva con cui il creditore ha ottenuto l’IPE, vale anche, a inversione di posizioni, per il debitore ingiunto, il quale potrà arrestare la procedura, limitandosi a dichiarare che non è obbligato ad alcun pagamento.
Ai sensi del paragrafo 3 dell’art. 16 del Regolamento CE n. 1896/2012, il preteso debitore ingiunto, nel proporre l’opposizione “indica (…) che contesta il credito senza esserne tenuto a precisarne le ragioni”.
L’opposizione all’IPE, dunque, si risolve in una mera manifestazione di contestazione generica della sua fondatezza. E’ evidente che essa non può in alcun modo essere assimilata all’opposizione al decreto ingiuntivo di diritto italiano, la quale, a norma del primo inciso del primo comma dell’art. 645, si propone con atto di citazione e con l’introduzione di un vero e proprio giudizio a cognizione piena.
In conclusione:
Una precisazione è d’obbligo: il Regolamento comunitario sull’IPE dispone che ogni Stato membro ha facoltà di prevedere una specifica normativa per disciplinare le fasi successive all’opposizione all’IPE. Il nostro ordinamento non ha disciplinato le modalità del passaggio della trattazione della controversia successivamente all’emissione dell’IPE, con la conseguenza che la semplice opposizione segna una battuta d’arresto, così svilendone la portata.
Non può infatti escludersi il rischio che l’opposizione sollevata dal debitore abbia natura pretestuosa e finalità dilatoria, così riportando il creditore italiano al punto di partenza.
Ma in Europa esiste un modo più semplice e veloce per chiedere un’ingiunzione contro il debitore straniero?
“Il vaglio del giudice dell’IPE non ha la stessa estensione e lo stesso oggetto di quello del giudice del ricorso per decreto ingiuntivo italiano, in quanto la sua cognizione, a differenza di quella del giudice italiano, non si estende all’apprezzamento delle prove indicate dal creditore”
Sì, esiste da diversi anni, malgrado sia da poco conosciuto, l’istituto del decreto ingiuntivo europeo e serve proprio per consentire al mondo imprenditoriale di recuperare liquidità in sofferenza.
La disciplina di questo strumento – definito “ingiunzione a pagamento europea” (IPE) – è contenuta nel Regolamento CE 12/12/2006 n. 1896/2006, in cui si indica come ambito di applicazione quello relativo alle controversie cd. Trasfrontaliere, definite all’art. 1 come quelle in cui”almeno una della parti ha domicilio o residenza abituale in uno Stato membro diverso da quello del giudice adito”.
La Corte di giustizia dell’Unione Europea, con una recentissima decisione emessa in tempi Covid 19 (sentenza 07/05/2020, n. 267/19), ha avuto occasione di confermare l’accessibilità a tale strumento di origine comunitaria anche in funzione della fase esecutiva, disciplinata dal regolamento CE n. 1215/2012.
A questo punto, bisogna chiarire quali siano le differenze tra un decreto ingiuntivo italiano e quello europeo e, soprattutto, quale sia vantaggioso azionare, in un periodo critico come l’attuale, in cui gli operatori hanno bisogno di riscontri sicuri.
La risposta è stata data nel 2019 dalla stessa Corte di Cassazione che si è pronunciata addirittura a Sezione Unite per fornire un’interpretazione univoca sugli effetti del decreto ingiuntivo europeo, specie in caso di opposizione (sentenze nn. 2840 e 2841 del 2019).
I giudici di legittimità hanno statuito che il modo in cui è regolato il procedimento di emissione dell’IPE è del tutto disomogeneo da quello del procedimento per decreto ingiuntivo di diritto italiano; tale diversità è visibile fin dalla fase introduttiva della procedura dell’IPE, in quanto per l’ordinamento comunitario l’istante deve solo fornire una “descrizione” del diritto di credito, senza dovere produrre alcuna prova scritta (a differenza di quanto accade nell’ordinamento italiano per il procedimento monitorio ex art. 633 c. p. c. e ss). In conseguenza di tale disomogeneità, il vaglio del giudice dell’IPE non ha la stessa estensione e lo stesso oggetto di quello del giudice del ricorso per decreto ingiuntivo italiano, in quanto la sua cognizione, a differenza di quella del giudice italiano, non si estende all’apprezzamento delle prove indicate dal creditore. Con la notifica del decreto ingiuntivo europeo, il debitore è informato del fatto che l’ingiunzione è stata emessa soltanto in base alle informazione fornite dal ricorrente e non verificate dal giudice.
Ne consegue che la situazione di chi abbia ottenuto l’IPE è sostanzialmente diversa da quella del creditore che abbia ottenuto il decreto ingiuntivo di diritto italiano; ciò non può che ripercuotersi nella fase dell’opposizione, in quanto la medesima semplicità assertiva con cui il creditore ha ottenuto l’IPE, vale anche, a inversione di posizioni, per il debitore ingiunto, il quale potrà arrestare la procedura, limitandosi a dichiarare che non è obbligato ad alcun pagamento.
Ai sensi del paragrafo 3 dell’art. 16 del Regolamento CE n. 1896/2012, il preteso debitore ingiunto, nel proporre l’opposizione “indica (…) che contesta il credito senza esserne tenuto a precisarne le ragioni”.
L’opposizione all’IPE, dunque, si risolve in una mera manifestazione di contestazione generica della sua fondatezza. E’ evidente che essa non può in alcun modo essere assimilata all’opposizione al decreto ingiuntivo di diritto italiano, la quale, a norma del primo inciso del primo comma dell’art. 645, si propone con atto di citazione e con l’introduzione di un vero e proprio giudizio a cognizione piena.
In conclusione:
- l’opposizione di diritto italiano è un atto motivato, in quanto il ricorso monitorio identifica la domanda, la supporta con la produzione della prova scritta e viene sottoposto al vaglio del giudice che, seppure all’esito di una cognizione sommaria, deciderà se accoglierlo o meno, introducendo un primo accertamento sulla fondatezza o meno del diritto di credito;
- l’opposizione all’IPE è un atto immotivato, a seguito del quale l’ingiunto non deve proporre alcun giudizio di opposizione e il procedimento di ingiunzione europea si arresta con la stessa semplicità con cui è iniziato.
Una precisazione è d’obbligo: il Regolamento comunitario sull’IPE dispone che ogni Stato membro ha facoltà di prevedere una specifica normativa per disciplinare le fasi successive all’opposizione all’IPE. Il nostro ordinamento non ha disciplinato le modalità del passaggio della trattazione della controversia successivamente all’emissione dell’IPE, con la conseguenza che la semplice opposizione segna una battuta d’arresto, così svilendone la portata.
Non può infatti escludersi il rischio che l’opposizione sollevata dal debitore abbia natura pretestuosa e finalità dilatoria, così riportando il creditore italiano al punto di partenza.
Fonte: Uomini e Trasporti – ottobre 2020