24 Dicembre 2024

Il globetrotter del business

Gianandrea Ferrajoli nonostante la sua giovane età ha già vissuto due vite: la prima nel mondo della finanza internazionale, la seconda come imprenditore visionario e d'avanguardia nel settore della logistica e del trasporto merci e persone. Ma queste due esperienze Gianandrea è riuscito a fonderle in una figura unica di globetrotter del business, non solo per gli oltre 60 Paesi che ad oggi ha visitato principalmente per lavoro, ma per quella curiosità intellettuale, quella irrequietezza delle idee, quella smania di anticipare il mondo che verrà che lo spingono ad essere pioniere in qualsiasi business che profumi di innovazione.

Una condizione che lo ha spinto a inventarsi una modalità diversa di essere concessionario di camion mentre fuori il mercato appassiva, toccando punte del 50%, il tutto però sempre con i piedi ben saldi a terra, quella del Sud, dove affonda le sue radici a Sant'Egidio del Monte Albino, tra Napoli e Salerno, a ridosso dell'incanto della Costiera Amalfitana.

Là nel lontano 1952 l'ingegnere Francesco Ferrajoli fonda l'azienda. Ottenendo la possibilità di distribuire auto e camion Fiat in tutto il salernitano. A causa della prematura scomparsa del padre, a soli vent'anni gli subentra nella conduzione degli affari di famiglia il figlio maggiore Giuseppe, per tutti don Peppino Ferrajoli, peraltro venuto a mancare lo scorso anno, gentiluomo d'altri tempi, imprenditore illuminato e precursore che dagli anni '60 in poi diventa il punto di riferimento per i trasportatori in Campania. Molti anni dopo, nel 2009 Gianandrea Ferrajoli prende il timone dell'azienda per un processo di trasformazione, innovazione e internazionalizzazione.

Gianandrea quanto delle tue precedenti esperienze internazionali hai portato in azienda?

"Tanto. Credo che uno dei punti di forza della trasformazione aziendale sia stato proprio il fatto di essere un outsider, completamente scevro dalle logiche del settore. Non le conoscevo né ho fatto alcunché per impadronirmene. Sono arrivato in azienda nel 2009 e il settore in quell'anno ha registrato 40%. Di conseguenza, tutti coloro che avevano costruito le loro realtà seguendo le logiche di business che per anni avevano funzionato si sono improvvisamente trovati con il terreno che gli franava sotto i piedi. Io invece ho avuto l'opportunità di entrare, smontar alcuni pezzi del business, alleggerendo l'azienda, costituendo nuove divisioni di business, investendo sulle nuove tecnologie e focalizzandomi molto fin da subito sul service. Di conseguenza il primo triennio della mia gestione, 2009-2012, è stato sicuramente il più difficile e il più complesso in parte perché non avevo reputazione, nel senso che avevo ancora tutto da dimostrare, ma soprattutto perché fuori non c'era mercato. Stiamo parlando di anni orribili, quelli della grande crisi che ha lasciato per strada concessionari, officine e clienti".

Come si è svolta l'attività di quegli anni?

"Con il mio team di allora ci siamo immediatamente allineati su quella che sarebbe stata la nostra visione aziendale: andare alla ricerca di volumi, aumentando le nostre dimensioni per raggiungere una scala diversa, diventando un dealer multiregione. Quindi e per prima cosa siamo andati a presentarci alle grandi flotte del territorio con spirito propositivo e con la determinazione necessaria a portarle in azienda, attività questa che per molti altri operatori, a quei tempi, non era considerata in maniera redditizia. Si lasciavano, infatti, questi rapporti alle Case per poi accontentarsi di gestire la garanzia e al massimo cercare di fidelizzare il cliente attraverso il post vendita. In questo senso possiamo affermare che la nostra value proposition è stata fin da subito molto innovativa. I fatti ci hanno dato ragione e dal 2012 al 2016 la nostra crescita è stata esponenziale e l'azienda ha quadruplicato il fatturato arrivando agli 80 milioni di cifra d'affari di oggi e c'è ancora tanto business che attende di essere conquistato".

Cosa è oggi Mecar?

"Un'azienda che si è completamente riposizionata, un player multiregione che ha aperto sedi proprie, creato strutture nuove e un gruppo più centrato sul cliente. Una terza cosa che abbiamo fatto è stata quella di esplorare nuovi business fuori da perimetro classico della concessionaria Iveco, ma facendo bene attenzione a non cannibalizzare i prodotti della nostra Casa madre. Ci siamo sempre mossi in ottica di collaborazione stretta e di forte sodalizio con i nostri partner, quali Thermoking per la refrigerazione e Cifa per le betoniere, partnership win-win perché hanno consentito a Mecar di servire clienti che prima non serviva e al cliente di potere contare sulla capillarità della nostra presenza nel Sud Italia e sulla tempestività del nostro servizio. Oggi, nel XXI secolo, aziende leader come Cifa o Ther-moking cercano una piattaforma forte e presente commercialmente, in grado di fornire servizi logistici e di avere accesso al capitale, cioè in grado di reperire sul mercato velocemente i capitali necessari per gli investimenti. Ed è quello che oggi rappresenta Mecar: una piattaforma di servizi commerciali, di assistenza e logistici con al suo interno un ecosistema di brand che offrono soluzioni trasversali in ottica Logistics as a Service".

A parte i camion, su quali nuovi business siete impegnati?

"La holding che si chiama Avanguardia investe in business molto tradizionali, come la distribuzione, ma allo stesso tempo vuole essere sicura di riuscire a prevedere i megatrend del settore. Quindi ben fermi nel business truck e logistica che rappresenta il 99%, ma con lo sguardo e gli investimenti rivolti a quei business con un forte potenziale anche se oggi costituiscono soltanto l'1% del fatturato. L'esempio più evidente è quello del digitale, che è sempre più diffuso ma non ha ancora massa critica e in cui Mecar sta già investendo perché ritiene importante seguirne la crescita. In sintesi, quando quell'1% sarà diventato il 25% il Gruppo Mecar vorrà esserci da protagonista e non da follower. Quindi oggi nei nuovi business siamo posizionati come service provider data-driven che copre l'intero settore della Smart&Green Mobility attraverso Movin- gfast per il noleggio aziendale on demand, Ma- cingo per il trucks sharing, iCarry per le consegne dell'ultimo miglio, GoVolt per la sharing mobility. In particolare, Movingfast risponde al concetto del pay-per-use ed è un'azienda di noleggio, interamente partecipata da noi, che ad oggi conta 100 veicoli in flotta in tutto il Sud Italia con un progetto di crescita importante e Macingo, che è l'Uber dei truck, una realtà che fattura circa 2 milioni di euro, leader in Italia, e I! già genera cash flow".

Ferrajoli, quanto ha contato la fiducia di suo padre nella fase iniziale di questa trasformazione aziendale così radicale e profonda?

"Tutto è stato possibile grazie alla fiducia che mio padre ha sempre riposto in me. Era una persona intellettualmente molto curiosa e siccome gli accadimenti della vita non gli hanno consentito di avere quella esperienza di business internazionale che avrebbe voluto possedere, perché 20 anni si è trovato a capo dell'azienda di famiglia, per quello ha voluto che io facessi i miei studi all'estero. Quindi da quando sono entrato in azienda ho avuto sempre carta bianca e anche in questo mio padre ha dimostrato intelligenza strategica, perché non puoi assumere nel tuo team una persona con skill importanti ed esperienze in business all'estero e costringerla a fare le cose come sono sempre state fatte”

"Il più imprenditore tra i manager e il più manager tra gli imprenditori": come nasce questa definizione?

“Questo è stato forse uno dei più bei complimenti che abbia mai ricevuto in tutta la mia esistenza. La definizione appartiene a un amico, Raimondo Gaetani, oggi imprenditore immobiliare a Londra, e mi è sempre servita da stimolo nella mia attività. Mi ci riconosco molto perché per due decenni io sono stato un dipendente, un manager, quindi oggi mi risulta molto facile avere empatia con i manager, perché è un ruolo che ho coperto per molti anni, ma mi sento e sono un imprenditore che deve prendere tutti giorni delle decisioni per portare avanti con onore e fare progredire il testimone che mi è stato passato dalla mia famiglia e da mio padre. E anche se fossi rimasto nella finanza, probabilmente avrei investito nella logistica che per me è uno dei settori più appealing in questo momento storico, ricco di opportunità al pari di quello della distribuzione. La logistica per un secolo è stata sempre la stessa e adesso sta cambiando velocemente e tra 5 anni sarà ancora diversa, perché entreranno new players e in maniera darwiniana alcuni storici saranno estromessi perché non hanno cavalcato il cambiamento. L'anno scorso sono stato invitato all'evento organizzato dal più grande venture capital europeo e i tre settori su cui ci si è focalizzati per il loro grande sviluppo futuro sono stati i media, luxury goods e la logistica e i trasporti".

La logistica comporta anche il tema della sostenibilità ambientale: qual è la sua visione in proposito?

"I due driver principali che stanno impattando il settore sono le tecnologie, cioè i modelli che serviranno a gestire la flotta, in primis

  1. il controllo da remoto
  2. la guida autonoma
  3. l'abbassamento dei livelli di anidride carbonica

E' ovvio che le multinazionali saranno sempre più interessate a connettersi ad aziende di trasporto che hanno adottato una strategia green. Elettrico e idrogeno le vedremo per prime e per lungo periodo sui nomi premium del trasporto che sono più legati ai grandi nomi della distribuzione, da Ikea a Ferrero a Unilever. L'elettrico caratterizzerà sicuramente il mondo dell'ultimo miglio e la logistica urbana e per i truck soltanto quelli che operano su un raggio non superiore ai 300 chilometri. Inoltre, la pandemia sarà un acceleratore verso la sostenibilità, perché la popolazione mondiale è sempre più sensibile nei confronti della salute del nostro pianeta. Il Covid-19 sotto un certo aspetto ci sta aiutando ad essere più civili: cresce infatti l'attenzione nei confronti dei più deboli, i giovani verso gli anziani, è aumentata anche in modo esponenziale la necessità delle sanificazioni. Tornando alla logistica e al trasporto, stiamo studiando l'idrogeno e l'elettrico, ma il problema vero sta in quel 20% circa di parco circolante italiano ancora Euro 0 Euro 1! La transizione energetica non può consistere soltanto nell'utilizzo di nuove forme di energia, va infatti accompagnata da una campagna di forte incentivazione che nel giro di un anno consenta di eliminare questo 20% di camion che hanno oltre 20 anni di anzianità: questa è la nostra proposta anche come Federauto Truck. Se costruiamo dette infrastrutture nuove e moderne e ci lasciamo sopra veicoli vecchi, inquinanti e non adeguati ai sistemi attuali di sicurezza, non avremo ottenuto una reale modernizzazione del comparto e del Paese".


Fonte: Parts Truck

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