La revoca della patente per guida sotto effetto di alcol e droghe
La revoca della patente in caso di condanna penale per guida sotto l’effetto di alcol o di droghe costituisce giusta causa di licenziamento per un conducente. Trattamento contrattuale meno severo di quello legale.
Secondo l’art.43, legge 120/2010 [Disposizioni in materia di sicurezza stradale], s.m.i (cfr, segnatamente, d.p.r 495/1992, aggiornato al d.p.r 69/2020), il datore di lavoro può licenziare per giusta causa, ai sensi dell’art.2119 c.c il lavoratore destinatario di un provvedimento di revoca della patente di guida. Invero, la disciplina legislativa si limita a prevedere la revoca della patente per i gravi motivi ivi indicati “costituisce giusta causa di licenziamento ai sensi dell’articolo 2119 del codice civile”.
In via di principio, il licenziamento deve essere considerato di natura disciplinare e, come tale, assoggettato alla disciplina dell’art7, legge 300/1970, che prevede: (1) una specifica procedura e garanzia della posizione del lavoratore, attraverso l’imposizione della previa contestazione del fatto in via formale e per iscritto, (2) la concessione di un termine per le proprie difese, (3) la valutazione delle giustificazioni e/o osservazioni rese dal lavoratore e (4) la successiva intimazione del licenziamento in forma scritta e motivata.
La serietà e gravità della sanzione estrema del licenziamento è giustificata dalla qualifica del lavoratore, autista o conducente, della revoca del documento di guida in caso di condanna penale per guida sotto l’effetto di alcol o di droghe.
IL TRATTAMENTO CONTRATTUALE
La materia è trattata nel CCNL trasporti logistica e spedizioni, nell’art31, così come di seguito riassunto. Il trattamento contrattuale è meno severo di quello legale, a parziale beneficio del lavoratore conducente. Si tratta all’evidenza, di una posizione globale meno grave rispetto al caso di revoca della patente nell’ipotesi sopraddette, nelle quali non viene previsto di un provvedimento espulsivo, essendo oltremodo fatto salvo il trattamento economico, della categoria e qualifica di assegnazione, con la possibilità, però, di essere adibito a mansioni di rango inferiori a quelle originarie, sulla base della regola logica/giuridica del c.d “male minore”. In questi termini, l’autista al quale dall’Autorità, per motivi che non comportino il licenziamento in tronco, sia ritirata la patente per condurre autoveicoli, avrà diritto alla conservazione del posto per un periodo di sei mesi senza percepire retribuzione alcuna.
L’autista durante questo periodo potrà essere adibito ad altri lavori e in questo caso percepirà la retribuzione del livello nel quale viene a prestare servizio. Nelle aziende che occupano fino a 6 dipendenti oltre alla conversazione del posto di cui sopra, l’azienda potrà adibire l’autista a qualsiasi altro lavoro, corrispondendo la retribuzione propria del livello al quale viene adibito. Qualora il ritiro della patente si prolungasse oltre i termini suddetti, oppure l’autista non accettasse di essere adibito al lavoro cui l’azienda lo destina, si fa luogo alla risoluzione del rapporto di lavoro. In tal caso all’autista verrà corrisposto il trattamento di fine rapporto di cui all’art.37, secondo la retribuzione percepita nel livello cui il dipendente apparteneva prima del ritiro della patente.
Non è previsto il pagamento dell’identità di preavviso, trattandosi di una risoluzione automatica “automatica”, indipendentemente dalla volontà del datore di lavoro o del lavoratore. Nell’ipotesi in cui il ritiro della patente sia avvenuto per comportamenti/fatti addebitabili all’autista fuori dall’esercizio delle proprie mansioni non si applicano le disposizioni di cui ai commi 2 e 3 del presente articolo 31 (disposizioni speciali per le aziende che occupano fino a sei dipendenti, come sopra esposte). In tali casi si applica unicamente il comma relativo all’adibizione a mansioni diverse per sei mesi (comma 1). Il lavoratore cui viene ritirata la patente è tenuto a informare immediatamente per iscritto il datore di lavoro del ritiro. Il lavoratore che guidi durante il periodo di ritiro della patente è responsabile dei danni diretti e indiretti subiti dall’azienda.
Secondo l’art.43, legge 120/2010 [Disposizioni in materia di sicurezza stradale], s.m.i (cfr, segnatamente, d.p.r 495/1992, aggiornato al d.p.r 69/2020), il datore di lavoro può licenziare per giusta causa, ai sensi dell’art.2119 c.c il lavoratore destinatario di un provvedimento di revoca della patente di guida. Invero, la disciplina legislativa si limita a prevedere la revoca della patente per i gravi motivi ivi indicati “costituisce giusta causa di licenziamento ai sensi dell’articolo 2119 del codice civile”.
In via di principio, il licenziamento deve essere considerato di natura disciplinare e, come tale, assoggettato alla disciplina dell’art7, legge 300/1970, che prevede: (1) una specifica procedura e garanzia della posizione del lavoratore, attraverso l’imposizione della previa contestazione del fatto in via formale e per iscritto, (2) la concessione di un termine per le proprie difese, (3) la valutazione delle giustificazioni e/o osservazioni rese dal lavoratore e (4) la successiva intimazione del licenziamento in forma scritta e motivata.
La serietà e gravità della sanzione estrema del licenziamento è giustificata dalla qualifica del lavoratore, autista o conducente, della revoca del documento di guida in caso di condanna penale per guida sotto l’effetto di alcol o di droghe.
IL TRATTAMENTO CONTRATTUALE
La materia è trattata nel CCNL trasporti logistica e spedizioni, nell’art31, così come di seguito riassunto. Il trattamento contrattuale è meno severo di quello legale, a parziale beneficio del lavoratore conducente. Si tratta all’evidenza, di una posizione globale meno grave rispetto al caso di revoca della patente nell’ipotesi sopraddette, nelle quali non viene previsto di un provvedimento espulsivo, essendo oltremodo fatto salvo il trattamento economico, della categoria e qualifica di assegnazione, con la possibilità, però, di essere adibito a mansioni di rango inferiori a quelle originarie, sulla base della regola logica/giuridica del c.d “male minore”. In questi termini, l’autista al quale dall’Autorità, per motivi che non comportino il licenziamento in tronco, sia ritirata la patente per condurre autoveicoli, avrà diritto alla conservazione del posto per un periodo di sei mesi senza percepire retribuzione alcuna.
L’autista durante questo periodo potrà essere adibito ad altri lavori e in questo caso percepirà la retribuzione del livello nel quale viene a prestare servizio. Nelle aziende che occupano fino a 6 dipendenti oltre alla conversazione del posto di cui sopra, l’azienda potrà adibire l’autista a qualsiasi altro lavoro, corrispondendo la retribuzione propria del livello al quale viene adibito. Qualora il ritiro della patente si prolungasse oltre i termini suddetti, oppure l’autista non accettasse di essere adibito al lavoro cui l’azienda lo destina, si fa luogo alla risoluzione del rapporto di lavoro. In tal caso all’autista verrà corrisposto il trattamento di fine rapporto di cui all’art.37, secondo la retribuzione percepita nel livello cui il dipendente apparteneva prima del ritiro della patente.
Non è previsto il pagamento dell’identità di preavviso, trattandosi di una risoluzione automatica “automatica”, indipendentemente dalla volontà del datore di lavoro o del lavoratore. Nell’ipotesi in cui il ritiro della patente sia avvenuto per comportamenti/fatti addebitabili all’autista fuori dall’esercizio delle proprie mansioni non si applicano le disposizioni di cui ai commi 2 e 3 del presente articolo 31 (disposizioni speciali per le aziende che occupano fino a sei dipendenti, come sopra esposte). In tali casi si applica unicamente il comma relativo all’adibizione a mansioni diverse per sei mesi (comma 1). Il lavoratore cui viene ritirata la patente è tenuto a informare immediatamente per iscritto il datore di lavoro del ritiro. Il lavoratore che guidi durante il periodo di ritiro della patente è responsabile dei danni diretti e indiretti subiti dall’azienda.