Semirimorchi a supporto del magazzino: è legale? È sicuro?
“Se la responsabilità penale è stata accertata rispetto all’utilizzo di uno strumento ordinario nell’attività di deposito, quale la scaffalatura, in modo più severo può essere valutato l’impiego di strumenti anomali di stoccaggio (quali un semirimorchio)”
E’ vero: bilici e semirimorchi dovrebbero essere impiegati per la circolazione stradale, ma spesso esistono storture operative che, ben lungi dal sopperire a esigenze di stoccaggio temporaneo finalizzato all’approntamento delle merci per le spedizioni, creano situazioni anomale prolungate nel tempo. I processi di ottimizzazione dei flussi logistici in entrata e in uscita da un sito produttivo devono naturalmente essere conformi agli standard di sicurezza, oltre che in linea con le coperture assicurative. Il caso rappresentato implica, dunque, un’elevata dose di rischio che impone, in primis, un’adeguata tutela assicurativa, oltre che l’adozione di metodologie efficienti di stoccaggio, conformi alla normativa di settore e alle autorizzazioni amministrative.
Nella prassi, si assiste a stabilimenti produttivi che, pur non eliminando tale fattore di rischio in radice, tollerano lo stoccaggio di merci fuori magazzino, dotandosi di strumenti assicurativi a copertura piena o, comunque, più ampia rispetto a quella riferibile alle merci ricoverate all’interno di un magazzino.
Anche l’operatore incaricato di gestire il flusso di movimentazione da un hub logistico può tutelarsi da rischi (di danneggiamento o furto) derivanti dai casi di temporanea estensione di magazzino, stipulando, per esempio, polizze stock and transit che rispondono proprio a tali esigenze di duttilità, in quanto assicurano il rischio di giacenza, relativo a merce in procinto di essere spedita.
Del resto, la responsabilità contrattuale del trasportatore per merci in custodia è fuori discussione; in tali casi, è stato statuito che “il vettore può andare esente da responsabilità per il furto di merci in transito depositate in un magazzino da lui locato, qualora dimostri l’adozione di adeguati misure di prevenzione, consistenti in un muro di cinta alto oltre due metri, in un sistema di videosorveglianza con telecamere a circuito chiuso, in un sistema di allarme con sensori piazzati all’interno del magazzino e in un servizio di vigilanza con guardie giurate” (Tribunale di Udine, 23.01.2017).
L’utilizzo di spazi aggiuntivi al magazzino, concepiti come appendici, espone a rischi da non sottovalutare in caso di sinistro. Si pensi non solo ai semirimorchi, ma anche al ricorso di container o a tensostrutture. Sarebbe, peraltro, da verificare se nel caso rappresentato dal settore i semirimorchi siano coperti da polizza RCA, non dovendo darsi tale requisito per scontato, vista l’anomalia della situazione.
Il tema assicurativo, perciò, è variabile in base alla singola situazione e all’estensione temporale dell’attività di stoccaggio, oltre che alla tipologia di merce stivata, anche in rapporto alle autorizzazioni rilasciate dalle pubbliche autorità (Vigili del Fuoco o aziende sanitarie).
Anche sotto il profilo della sicurezza, tali situazioni peculiari di immagazzinamento sono foriere di rischi, per la configurabilità di addebiti per responsabilità (anche penale). In giurisprudenza i rischi lavorativi associati alle attività di immagazzinaggio sono sempre più presi in considerazione. Per esempio, è stata accertata (Cass. pen. 5 aprile 2018, n. 15204) la responsabilità del datore di lavoro per un caso di sinistro relativo a un dipendente che, transitando davanti a una scaffalatura, era stato colpito da materiali molto pesanti cadutigli addosso. La responsabilità è stata addebitata, in questa fattispecie, per l’omessa valutazione dei rischi inerenti alle operazioni di movimentazione e di stoccaggio per l’omessa informazione e formazione ai lavoratori sui rischi connessi all’utilizzo delle scaffalature.
Se la responsabilità penale è stata accertata rispetto all’utilizzo di uno strumento ordinario nell’attività di deposito, quale la scaffalatura, in modo più severo può essere valutato l’impiego di strumenti anomali di stoccaggio, seppure considerati “attrezzatura di lavoro”.
L’art. 69, comma 1, lettera a), D.Lgs. n. 81/2008 la definisce infatti come una “qualsiasi macchina, apparecchio, utensile o impianto, inteso come il complesso di macchine, attrezzature e componenti necessari all’attuazione di un processo produttivo, destinato ad essere usato durante il lavoro”.
In conclusione, se gli spazi in un magazzino non sono organizzati adeguatamente, ci si espone a una situazione di elevato rischio, oltre che di dispendiosa inefficienza, per la mancata ottimizzazione dei flussi in entrata e in uscita.
Gli obiettivi dimensionali di un hub logistico rispondono oggi a un’irrinunciabile esigenza di compliance, anche per il controllo e la separazione degli ambienti nel rispetto della distanza sociale, oltre che per disporre di una modalità operativa orientata verso la logistica professionale futura.
Fonte: Uomini e trasporti – novembre 2020